Rocco Alberto Peruggini

Rocco Peruggini intraprese lo studio della chitarra all'età di diciassette anni, diplomandosi a ventiquattro con il massimo dei voti, la lode e una borsa di studio come migliore allievo del Conservatorio. Negli stessi anni studiò composizione e contrappunto e seguì i corsi di perfezionamento tenuti da Alberto Ponce, docente della Ecole Normale de Musique di Parigi.

Premiato in numerosi concorsi di musica, ha suonato in Italia ed all'estero raccogliendo sempre commenti molto lusinghieri da parte della critica e del pubblico. Diversi autori contemporanei gli hanno dedicato loro composizioni.

I suoi CD, tra cui Variations for guitar ("Suonare Records", 1998), contenente in anteprima mondiale le "Variazioni per chitarra" di Ottorino Respighi, sono stati recensiti molto favorevolmente dalle principali riviste specializzate.

All'attività concertistica Rocco Peruggini ha affiancato un intenso impegno per la diffusione delle conoscenze e dello studio della chitarra classica che lo ha visto in veste di didatta e di organizzatore di eventi chitarristici (cicli di concerti, mostre di liuteria, concorsi, master classes, seminari, etc.) e ha prestato inoltre la sua collaborazione a liutai e produttori di corde per la ricerca e lo sviluppo della liuteria chitarristica.

È co-fondatore della rivista musicale Seicorde e, nel 2006, ha fondato ¡laGuitarra!, una nuova pubblicazione dedicata alla chitarra classica, nella quale ha svolto un importante lavoro editoriale di approfondimento, didattica e di analisi e prove tecniche di chitarre da concerto.

Dal 1986 è stato direttore dell'Ateneo della Chitarra di Milano e direttore artistico del festival Incontri con la Chitarra.



1962

Nasce a Foggia.

1979

Intraprende lo studio della chitarra sotto la guida di Mauro Storti.

1983

Vince il primo premio al "Premio Villa-Lobos" a Milano e la "Medalha de Vermeil" quale miglior interprete dell'opera di Villa-Lobos, conferita dal Museu Villa-Lobos di Rio de Janeiro. È il primo di numerosi concorsi che lo hanno visto tra i vincitori.

1986

È co-fondatore della rivista musicale Seicorde, attraverso la quale ha svolto per anni e divulgato per la prima volta in Italia un importante lavoro editoriale di analisi e prove tecniche di chitarre da concerto.

Nello stesso anno fa rinascere e inizia a dirigere l'Ateneo della Chitarra, centro didattico-culturale che conta ogni anno più di centocinquanta iscritti, dove oltre all'attività didattica organizza seminari, festival, corsi di vacanze-studio e collaborazioni con liutai e produttori di corde per la ricerca e lo sviluppo della liuteria chitarristica.

1987

Si diploma presso il Conservatorio di Musica G. Nicolini di Piacenza con il massimo dei voti, lode e borsa di studio come migliore allievo del Conservatorio.
Negli stessi anni studia Composizione e Contrappunto, seguendo anche i corsi perfezionamento tenuti da Alberto Ponce, docente alla Ecole Normale de Musique di Parigi.

1989

Concerto alla Sala Maddalena di Monza nell'ambito degli "Incontri Musicali Monzesi".

...giovane talento, dal suono bello e robusto, dai nitidi contorni e dalla salda preparazione (...) ha captato la nostra attenzione facendoci amare le qualità di uno strumento che - finalmente - parla la nostra lingua, interpreta il nostro mondo, e che ci piace soprattutto perché suonato con intelligenza e tanta, tanta musicalità.
Angelo Bellisario - il Cittadino

Lo stesso anno diventa direttore artistico e promotore del festival Incontri con la Chitarra, che nell'arco di questi anni ha permesso a migliaia di appassionati di assistere ai recital dei nomi più prestigiosi della chitarra, accanto a numerose "prime" milanesi di giovani concertisti italiani e stranieri.

1991

Concerto al Teatro delle Erbe di Milano nell'ambito degli "Incontri con la Chitarra".

...interprete di rara bellezza, che merita la massima attenzione di pubblico e addetti ai lavori: del primo per il puro piacere di un ascolto non comune, dei secondi per la minuziosa attenzione con cui tratta e risolve i ben noti problemi dello strumento, la precisione e l'ampio spettro di variabili timbriche.
Francesco Rampichini - Seicorde

1997

Concerto al Teatro delle Erbe di Milano nell'ambito degli "Incontri con la Chitarra".

1998

Incide il CD Variations for Guitar per "Suonare Records", contenente tra l'altro in anteprima mondiale le "Variazioni per chitarra" di Ottorino Respighi.

Tratto distintivo del chitarrismo di Rocco Peruggini è l'attenzione interpretativa basata sulla ricercata sensibilità timbrica e dinamica.
Francesco Biraghi - il Fronimo

L'esecuzione si fa notare per la padronanza strumentale e, soprattutto, per l'eleganza espositiva e per la cura rivolta a tutti i vari aspetti espressivi (...), a partire dalla celeberrima Ciaccona posta in apertura, restituita con grande austerità ed efficace uso di chiaroscuri.
Piero Viti - Guitart

2000

Concerto a Ile de Ré, nell'ambito del "Festival International de Guitare".

...in una corte tuffata nell'arancio del cielo - un sole che prende congedo lasciando poco a poco nell'ombra l'auditorio raccolto - assaporiamo la sonorità, come "uscita" dal quadro, di questo italiano: rotonda e profonda, calda e dolce.
Danielle Ribouillault - Les Cahièrs de la Guitare et de la Musique

2001

Concerto alla Carnegie Hall di New York nell'ambito del festival "The New Talent of Guitar".

Dopo l'ascolto del concerto di Peruggini il nostro modo di suonare è invecchiato di venti anni.
Jean Vallières - Conservatorio di Montreal, Canada

La sua musicalità e il virtuosismo strumentale mi hanno stupito; la sua interpretazione degli studi XI e XII di Villa-Lobos è stata così intensa che è stato come se li ascoltassi per la prima volta.
Larry Del Casale - Soundboard Magazine, GFA New York

Nelle sue osservazioni a voce, Rocco Peruggini ha espresso il suo essere affascinato dal "contrasto tra sensualità e rigore morale" (...) Il suo modo di suonare esemplifica entrambe le qualità, unendo la comprensione intellettuale con la sensibilità e la tecnica perfetta. La sua padronanza dello strumento e la sua immersione nel materiale musicale sono così complete che, piuttosto che soltanto suonare la musica, la comprende. Ad un musicista non si può chiedere di più.
Jonathon Finkelman - Soundboard Magazine, GFA New York

Nello stesso anno incide il CD ...per Chitarra per la "Casa Musicale Eco", contenente opere per chitarra di Luisa Indovini Beretta.

2006

Fonda il trimestrale ¡laGuitarra!

2007

Scompare, vittima di un tragico incidente stradale.

INCONTRI CON ROCCO PERUGGINI


L'ultima volta che lo vidi

Rocco Peruggini è stato un chitarrista diverso dagli altri. Lo ha reso diverso la sua indole di artista, che ha guidato la sua ricerca e che ha impresso un segno forte e personale a tutta la sua attività. Per ricordarlo, occorre riassumere gli aspetti peculiari del suo modo di essere.

Incomincio dalla fine. Alcuni mesi prima della sua scomparsa, Rocco mi fece visita - non ci incontravamo di persona da tre anni, anche se le conversazioni telefoniche tra di noi erano piuttosto frequenti - perché desiderava espormi il proposito che lo aveva indotto a creare una nuova rivista di chitarra. Rocco mi disse che concepiva la rivista non come un semplice mezzo di informazione, e meno che mai come portavoce di una delle tante fazioni chitarristiche radunate intorno agli interessi di una figura dominante. Voleva invece fare della sua nuova creatura uno strumento didattico. Mi sembrò ovvio domandargli se, all'esplicazione della sua opera di docente, non gli bastasse insegnare ai suoi allievi ed essere presente nella loro formazione. Mi disse di no, che non gli bastava, che voleva aggiungere al suo insegnamento vivo e parlato anche un insegnamento scritto. Era approdato - soggiunse - a una fase - per la sua età senza dubbio prematura - che ora non mi sembra iperbolico definire sapienziale: la chitarra e la musica vi apparivano come espressioni artistiche di un sapere più vasto, e a questo sapere la rivista doveva dare campo. Non credo che avrebbe mai scritto, o fatto scrivere, nulla che, nominalmente, non avesse diretta relazione con la musica e con la chitarra, ma credo che non gli interessasse per nulla aggiungere un'ennesima voce alla supplica generale in favore "del nostro strumento": il quale, semmai, sarebbe stato un punto di partenza per un'azione formativa più vasta, cioè musicale e culturale. Non era lontano il giorno - nel suo progetto - in cui lo studio della chitarra avrebbe assunto un profilo culturale del tutto proprio, fondato su contenuti assai diversi da quelli dello studio ufficiale nei conservatori di stato e nelle scuole minori: la rivista doveva essere l'araldo e uno degli strumenti di questa visione e di questa realizzazione.

Rocco era pervenuto a questa fase attraverso un'evoluzione riflessiva e ponderata, ma non lenta. Il suo modo di essere e di pensare lo condusse, appena terminati gli studi, a percorrere una strada solitaria. Innanzitutto, rinunciò alla carriera didattica pubblica: allergico alla sindrome burocratica che inevitabilmente affligge (o delizia, in certi casi pietosi) i docenti di stato, non si sottomise mai alla trafila delle graduatorie, dei concorsi, delle supplenze, delle nomine in ruolo, dei trasferimenti. Fondò invece una scuola propria - in collaborazione con l'amico e compagno di studi Filippo Michelangeli - dove il prestigio dell'insegnante non era affidato alla gerarchia, e da quella protetto e riparato, ma unicamente al proprio valore personale, al proprio carisma, alla propria vocazione. Ed ebbe successo, un successo senza uguali in Italia, che lo mise in condizione - dopo che Michelangeli scelse di dedicarsi al giornalismo musicale - di proseguire da solo e di fare, dell'Ateneo della chitarra, uno dei centri più forti e vitali della didattica chitarristica internazionale. A fianco, sorgevano iniziative come le stagioni di concerti e, infine, la rivista.

Virtuoso e interprete di razza, Peruggini non aveva l'animus del concertista viaggiante, non amava le trasferte faticose, i torturanti tempi morti dei viaggi internazionali, soprattutto non amava il lato esibizionistico dell'attività del solista, il formalismo e la superficialità dei contatti fuggenti con le persone. Si rendeva conto del fatto che, tutto sommato, agli effetti della conoscenza alla quale aspirava, la vita del concertista era inibita e taglieggiata. E, ovviamente, finì con l'abbandonarla. Lo studio che amava aveva bisogno di tranquillità e di raccoglimento, e rinunciare agli applausi non era certo un sacrificio, per lui. L'insegnamento era quindi il suo approdo più naturale e più giusto. Lo scelse con convinzione appassionata e vi si dedicò senza risparmio di energie. Proprio quando stava per aprire, con la sua tenace intraprendenza, un nuovo orizzonte didattico, Rocco è uscito dal mondo. La nostra comprensione delle cose si smarrisce di fronte all'improvvisa rottura di un disegno come il suo: non vediamo alcuna conclusione logica nel suo percorso, non c'è il compiersi di una parabola che, raggiunto il culmine, declina e si spegne, c'è invece l'assurda caduta di un volo che sarebbe giunto ancora più in alto. Ma sappiamo di non sapere, e questo ci salva dalla recriminazione e dalla ribellione.

Di ogni persona che abbiamo conosciuto, e che poi abbiamo perso, un tratto sopra tutti rimane nel nostro ricordo. Il mio ricordo di Rocco è affidato all'immagine della sua persona che, nel mio studio, osserva con ammirazione un dipinto appeso a una parete e lo commenta sommessamente. Era sensibile e partecipe. Fu quella l'ultima volta che lo vidi.

Angelo Gilardino



Seguire il suo esempio

Non ricordo quando ho conosciuto Rocco. Ricordo invece il momento in cui diventammo amici e capimmo di parlare la stessa lingua, di condividere le stesse idee.

Fu in occasione del concerto che tenni anni fa per la stagione dell'Ateneo della Chitarra - un'occasione nella quale Rocco mi manifestò grande simpatia e vicinanza artistica. Fu allora, suppongo, che gli passai - lui così legato alla questione della chitarra di liuteria da sempre - la malattia per le chitarre storiche. Seguirono altri incontri - tutti improntati alla costruzione di qualcosa, tendendo a un ideale di musica quasi utopistico. In lui era pulsante la voglia di creare un mondo di musicisti legati da quella passione dalla quale lui stesso era assorbito - quella per la chitarra e per il suo mondo sonoro - affinché dialogassero e crescessero insieme. Nacque l'idea della rivista, la sua creatura, il suo spazio segreto in cui avrebbe voluto portare tutte le persone che stimava. Questa rivista - che è durata troppo poco quanto la sua intensa vita - rappresenta il più bell'esempio di editoria povera, quella fatta con pochi mezzi e grandi contenuti.

Continuammo a collaborare, ora dico poco pensando alle cose che avremmo potuto fare insieme. Venne a Pontedera per intervistare Jacques Vincenti sulle chitarre storiche e ne fu entusiasta. Da lì ebbe l'idea dell'incontro-confronto che si svolse a Casalpusterlengo. Questa parola, il confronto, era la chiave della sua attività di musicista.

Mi piacerebbe che il suo esempio fosse seguito, che si capisse quanto le sue idee non fossero così utopiche come invece un superficiale sguardo al mondo che ci circonda potrebbe indurre a credere.

Restano molti rimpianti ma un grande segno e un esempio di come il mondo si possa trasformare in meglio.

Luigi Attademo



La forza delle idee

Nella vita ci sono alcuni incontri, pochi ma preziosi, che lasciano impresso un ricordo vivido e luminoso anche a distanza di molto tempo. Il giorno in cui ho conosciuto Rocco Peruggini nel suo studio di via Lamarmora, un dicembre di quasi quindici anni fa, non è mai sbiadito nella mia memoria; a tal punto che ancora oggi sarei in grado di ricostruirlo passo dopo passo, parola dopo parola, dettaglio per dettaglio. Non che non avessi mai visto Rocco prima di allora: nella sua veste formale, distinta e cordiale di direttore artistico degli "Incontri con la chitarra" ero abituato - come moltissimi altri appassionati e studenti - a scorgerlo dietro le quinte del Teatro delle Erbe, del Teatro Olmetto o della Palazzina Liberty, intento a verificare che tutto fosse pronto, in ordine, predisposto fino al minimo particolare per il concerto. Dico scorgerlo e non vederlo, perché Rocco si muoveva leggero, discreto, silenzioso, quasi invisibile; non amava apparire né essere identificato come deus ex machina, e non rivendicava mai con enfasi il proprio ruolo all'interno di una stagione di concerti che per più di vent'anni ha portato a Milano la maggior parte dei grandi nomi e dei giovani talenti delle sei corde - e che pure si è retta sempre quasi interamente sulle sue larghe spalle.

Ma alla fine del 1994, con una telefonata, Rocco mi invitò all'Ateneo della Chitarra per discutere con me del cartellone degli Incontri con la chitarra; arrivai da lui con la chitarra, una borsa piena di spartiti (mi aveva annunciato che avremmo discusso anche del repertorio) e tutta la tremenda soggezione che a diciannove anni si ha nei confronti delle persone che si stimano. Di quel nostro primo colloquio, lungo e caloroso, vorrei ricordare qui le due impressioni più forti. La prima suscitata dalla sua straordinaria vitalità e dal suo entusiasmo contagioso per la musica, per i suoi studenti e per l'attività didattica, per la liuteria contemporanea (la sua grande passione) e per quella storica, per la moto, per il Campus di Orvieto. La seconda impressione è legata al suo sorriso: quel sorriso sincero, bonario, ottimista che lo ha sempre accompagnato in tutto ciò che faceva. Anche nei momenti più difficili della sua vita professionale, anche quando ci raccontava che, alla fine di un lungo ed estenuante braccio di ferro contro la colpevole indifferenza del comune di Milano, non gli restava altra scelta che decentrare la stagione concertistica in provincia, Rocco sorrideva. La sua era una grande lezione, una benefica iniezione di fiducia, l'esempio che la forza delle idee vince lo sconforto e la rassegnazione.

Conservo tanti altri ricordi nel mio scrigno, in ordine sparso: una domenica in campagna insieme a Roberto e Tiziana da Barp e a mia moglie Giulia; lunghe ore di conversazione con Giuseppe Guagliardo; le decine di occasioni di condivisione e ascolto, i concerti e le mostre di liuteria; il giorno in cui mi parlò per la prima volta de ¡La Guitarra! e quello in cui mi raccontò che stava lavorando al suo disco; una sera di pochi mesi fa con Laura e Matteo Mela, trascorsa guardando uno dei primi DVD da allegare alla nuova rivista; il suo concerto al teatro delle Erbe (l'unico a cui ho avuto la fortuna di essere presente). Ma, più di tutto, conservo l'esempio di un uomo generoso e attivo, dalla passione e dedizione sconfinata, che amava mettere in comunicazione le persone e creare fermento intorno a ciò in cui credeva.

Se oggi ci troviamo tutti insieme, idealmente, nel ricordo di Rocco, lo dobbiamo a lui. E, da qualche parte, sono certo che di questo lui sta sorridendo.

Lorenzo Micheli



Un amico non si perde

Riassumere in poche righe vent'anni d'amicizia è come alzare gli argini di un fiume nel tentativo di attraversarlo. Si può solo gettare uno sguardo alla corrente.

Il mio primo incontro con Rocco risale alla seconda metà degli anni '80, quando lui e Filippo Michelangeli mi invitarono a collaborare ai Quaderni dell'Ateneo, poi a Seicorde dalla sua fondazione, ed anche all'Ateneo della Chitarra dove insegnai per parecchi anni, per me molto istruttivi dal punto di vista professionale e umano. I suoi preziosi consigli, le opinioni scambiate nei tanti pomeriggi in aule accanto, le stagioni di concerti milanesi organizzate e animate dal suo Ateneo, restano periodi ricchi di stimoli e incontri. La natura del suo impegno con giovani e non aspiranti chitarristi si esprimeva in un rigore responsabile, unito a una sensibilità profonda e immediata nell'arrivare all'essenza delle cose e delle persone.

Nel 1992-'93 venne da me a registrare alcuni brani. Fui colpito - nella perfezione delle esecuzioni - dall'attenzione che poneva all'attenuazione dei rumori, frutto di un lavoro meticoloso ed efficacissimo. Non era felice dell'effetto della riproduzione, a fronte del suono naturale. Nella nostra epoca di esasperata riproducibilità tecnica, Rocco cercava il bello nelle cose reali della vita.

Da quando gli impegni ci allontanarono, fu per me sempre una confortante certezza sapere che a Milano c'era lui a fare quel che faceva, a tener vivo un pubblico difficile, a puntare i riflettori sulla chitarra con un amore, una competenza e una determinazione insostituibili. Per anni ci scambiammo notizie e saluti attraverso allievi "migranti", rinnovando di tanto in tanto al telefono quel rapporto di affetto ininterrotto, con la stessa confidenza, come se ci si fosse lasciati poco prima, magari solo per chiedersi d'una persona, un disco, uno strumento. L'ultima volta che mi chiamò stava per avviare la stagione di concerti del marzo scorso alla Palazzina Liberty. Mi salutò con parole toccanti, cui ripenso ora con gratitudine e nostalgia. Rocco non nascondeva mai i suoi sentimenti, non ebbe paura di essere quello che era.

La sua vita non si è trasformata in parabola. Traccia una linea in crescita sospesa da un caso assurdo, che lascia il grande rimpianto per un Maestro delle cui idee e poetica testimoniano le registrazioni, gli scritti e soprattutto la passione trasmessa ai moltissimi allievi, ai colleghi che non mancava di incoraggiare e sostenere con generosità.

A me resta la voce interiore di un amico prezioso, che parla ancora al mio pensiero, nel quale rimane vivo.

Francesco Rampichini



Amico e fratello

Ho incontrato Rocco nel 1995 a Orvieto. Quell'anno, in estate, mi trovavo a Roma dove tenevo dei corsi. Terminati i corsi, sono andato in vacanza a Orvieto con mia moglie Doris e con alcuni studenti. Sulla vetrina di un negozio ho visto una locandina che diceva: Ateneo della Chitarra, Milano, Festival di Chitarra classica.

Venni così a sapere che quella sera si sarebbe tenuto un concerto. Ho assistito al concerto e ho visto molte splendide prestazioni da parte degli studenti. Dopo l'esecuzione degli studenti, Rocco è uscito per suonare. Il suo suono era per me uno specchio dei miei desideri, ho pensato che non poteva restare per me solo un insegnante, lui era già diventato mio amico e mio fratello. Dopo il concerto mi sono presentato e gli ho dato i miei riferimenti. Gli ho detto: "chiamami, vivo a New York". Rocco mi ha chiamato e siamo immediatamente diventati amici. Abbiamo insegnato insieme e abbiamo suonato in duo a Orvieto per molti anni. Rocco ha suonato alla Carnegie Hall a New York City e si è fermato a casa mia. Abbiamo anche trascorso una settimana in Francia con Philppe Villa.

Rocco è riuscito a farmi trovare quella che considero la più bella chitarra della mia vita, costruita dall'amico Giuseppe Guagliardo. Ci scrivevamo ogni settimana e facevamo progetti per il futuro. Ma il regalo più grande che mi ha dato sono stati i numerosi amici che ho incontrato grazie a lui. Studenti, liutai, concertisti e tutte le persone meravigliose che ho avuto la possibilità di conoscere, sono sicuramente il regalo più significativo. Non vorrei mai perdere tutti quanti voi.

Non sono esattamente uno scrittore, sono un musicista. Le mie parole non dicono tutto ciò che il mio cuore prova. Così, quando suonerò, più che mai avvertirò che un altro uomo nobile se ne è andato dal nostro mondo e le mie note colpiranno un orecchio sapiente in meno. E del mio amico più caro, solo mi dovrà bastare il ricordo.

Richard Jacobowski



Un pomeriggio di settembre

Era un pomeriggio di settembre, non troppo caldo, la prima volta che incontrai Rocco. Ricordo che scesi i gradini di via Lamarmora - era lì che si trovava allora la sede -, entrai nell'Ateneo della Chitarra e mi accolse un uomo sorridente che mi diede informazioni riguardo ai corsi della scuola. Avevo poco più di vent'anni, ma ero andato lì con le idee chiare: volevo frequentare un corso di chitarra, avevo già deciso e nessuno avrebbe potuto convincermi del contrario. Nonostante ciò riuscì a farmi desistere dall'iscrivermi immediatamente, anche se io ero lì proprio per quello. "Ci pensi su e poi decida con calma" mi aveva detto, a me come a molti altri che sono passati in tutti questi anni per la sua scuola. Quasi senza accorgermene mi ritrovai all'imbocco del metrò e stavo per scendere il primo gradino, quando mi girai e tornai indietro. Rocco era sempre lì, col suo sorriso, e questa volta riuscii ad iscrivermi.

Sono passati più di dieci anni da quel giorno e, ogni volta che ci ripenso, mi chiedo come sarebbero potute andare le cose se, al suo posto, avessi incontrato un altro. Ho avuto la fortuna di capitare in una delle sue classi e sono state centinaia le occasioni per apprezzare nell'uomo di cui allora conoscevo appena il nome la persona sensibile e illuminata che si nascondeva con simpatia dietro quel sorriso, il musicista dalla sensibilità e dal suono senza uguali, l'insegnante appassionato che mi ha accompagnato con pazienza fino al diploma e, in seguito, il collega attento e generoso di consigli.

L'energia in suo possesso si è sempre trasformata in qualcosa di concreto, non senza sforzi però e anche qualche motivo di sconforto che tuttavia non ha mai avuto il sopravvento: ne sono testimonianza tutte le iniziative che è riuscito a far vivere. Ed era proprio questa energia che emergeva anche nelle lunghe chiacchierate che spesso facevamo, insieme ad una consapevolezza profonda di tutto ciò che lo circondava, in primo luogo delle persone, e ad una sensibilità che spesso purtroppo lo faceva sentire alieno a questo mondo.

È fortunata la persona che trova le immagini di cui la sua esperienza ha bisogno e quel poco della sua filosofia e della sua sensibilità che sono riuscito a cogliere attraverso l'amicizia che ci ha legati rimarrà parte di me per sempre.

Gabriele Carolé



Muor giovane colui che al cielo è caro

(Menandro)

Quando Rocco suonava mi succedeva di pensare che il peggio della giornata fosse passato, nulla più era guastato da patine di falsa ed esteriore unitarietà e un desiderio torturante mi assaliva: "ecco, vorrei saper suonare così". Non era una meta che mi potessi prefiggere. E non soltanto perché è irraggiungibile. Molte cose sono irraggiungibili, ma uno può cercare di inclinare le proprie vele in quella direzione; questo però era un desiderio temerario, non avrei dovuto esprimerlo, dopo non possiamo più accontentarci di poco e l'irraggiungibile rimane tale.

La cosa strana delle nostre lezioni era che riuscivamo a influenzarci a vicenda, ma non completamente: io non riuscivo a liberarmi, neppure con lui, di tutta l'intolleranza che ho ereditato, Rocco restava fedele alle cose che si era conquistato da solo. Molto di ciò che mi capitava di dire lo colpiva, ma solo se lo trovava già in sé lo faceva suo. Dopo ogni esecuzione, si ingegnava ad evitare che le cose da dire fossero affrontate in maniera sbagliata, credo che questa fosse la sua preoccupazione segreta. Lo faceva con tenera premura, senza superiorità perché, paradossalmente, mi poneva sul suo stesso piano. Il suo scopo era conoscersi a fondo, non soltanto valutare la prontezza dell'altro e le sue forze, ma non avrebbe mai potuto tacere un biasimo o un dissenso per amore di pace o per debolezza, non se lo sarebbe perdonato. E questo suo impegno alla sincerità intellettuale, non meno stringente del mio, ci portava ad aspettare, ciascuno, il giudizio dell'altro, senza prevenirlo.

Della sua ultima fatica intellettuale, ¡La Guitarra!, parlammo pochissimo; o, almeno, questo è stranamente l'inverosimile ricordo che conservo. Inverosimile, perché l'argomento ci accompagnò per i quasi due anni che precedettero l'uscita del primo numero. È difficile riassumerne la genesi. Nel groviglio di intelligenza, futilità, bellezza e volgarità così fitto e arruffato in periodi esteriormente floridi, sottoposti però interiormente a quel declino che non risparmia nessun campo e per conseguenza neanche quello dello sviluppo intellettuale e spirituale se non gli si dedicano sforzi particolari e idee nuove, la cosa più ovvia non poteva che essere: che cosa si può fare, piuttosto che associarsi alla liturgia - che evidentemente a moltissimi appare più semplice - di quanti proclamano l'inarrestabile tramonto di qualche cosa che si vuole sottrarre a un giudizio preciso. Mi chiese, con quell'ardore che, in altri ma non in lui, si sarebbe scambiato per insistenza, di collaborare. Sorrise, divertito e complice, quando gli dissi che, al massimo, avrei potuto fare il correttore di bozze. Quello è stato effettivamente il mio ruolo nella rivista. E di quella denegata investitura conservo il più assoluto orgoglio.

Il sorriso era un altro suo punto di forza. Ho sempre pensato che sapesse evocarlo, ma, una volta comparso, non fosse più in suo potere cancellarlo: il sorriso non se ne andava. E quel sorriso era il suo vero volto. Finché Rocco non sorrideva i suoi modi avrebbero anche potuto trarre in inganno, ma quando sorrideva, nessuno si sentiva escluso. A volte, sorridendo, spalancava gli occhi. Era come se si guardasse dal di dentro, illuminato dal suo stesso sorriso. Non esiste nulla di più irresistibile di un simile sorriso che ti invita ad entrare nello spazio interno di un essere umano.

Non c'era tema di cui non si parlasse. Io accennavo a qualcosa che mi aveva colpito e lui magari voleva saperne di più, ma il suo desiderio di ragguagli non dava mai la sensazione di una richiesta. Ero affascinato da tutte le sue considerazioni quanto lo ero dalle sue esecuzioni perché ognuna mi colpiva come qualcosa di inaspettato. Vedevo davanti a me una struttura coerente, meditata in ogni particolare, che aveva in sé la sua dignità non meno che la sua giustificazione. Non ho mai ascoltato un altro a quel modo. Il titolo di Maestro non era, in lui, un semplice merito accademico.

Addio Rocco, "muor giovane colui che al cielo è caro"!

Giuseppe Crotti

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